Dal 2019, dopo aver lasciato l’IRIFOR, ho stretto una solida e motivante collaborazione con LALIZABLU SRL, di recente divenuta Impresa sociale. Per LALIZABLU, oltre ad aver realizzato il sistema di elearning (lavoro espletato anche per altre aziende, nell’ambito del mio contesto liberoprofessionale) svolgo, in esclusiva, attività tiflologiche di supporto e formazione rivolte a ragazzi ciechi e ipovedenti, nell’obiettivo – condiviso con il team – di aiutarli a crescere sotto il profilo dell’autonomia personale ed intellettuale, al fine di consentire loro d’essere liberi e protagonisti indiscussi della propria esistenza.
Il gruppo di lavoro, coordinato dalla straordinaria pedagogista Loredana Piccolo, include diverse figure professionali, tra le quali si inserisce la mia. Mi chiamano l’informatico (purtroppo non solo qui) e purtroppo non solo in contesti informali. Per forza: sono io a progettare percorsi formativi in Tecnologia assistiva. Mi dicono che deve essere così: all’interno di un team, ognuno ha il suo ruolo che corrisponde alla relativa specialità. Penso sia giusto, razionalmente appare corretto; a me però quest’appellativo non piace: non descrive ciò che sono, ma soprattutto non rende giustizia su ciò che credo – lezione dopo lezione – di poter dare ai ragazzi che seguo. Spesso sono costretto ad indossarlo come un paio di scarpe scomode che fanno male ai piedi dopo un po’ che ci cammini e che a un certo punto, senti il bisogno di togliere per farli riposare. Ebbene: è proprio quello che farò adesso. La prenderò un po’ alla larga; perdonerete.
A me piace la vita che attualmente conduco: sono felice perché mi sento completo. Una famiglia che adoro, un posto che è poesia, gli amici al caffè, un lavoro che mi fa svegliare, mattina dopo mattina, con la smania di cominciare la giornata… e tutto trova armoniosamente il suo equilibrio in questo mio piacevole microcosmo. Tuttavia, non è sempre stato così… e il passato, di tanto in tanto, torna ad ingombrare i miei pensieri… e a volte si affaccia prepotente sui miei sogni trasformando le mie notti in tormentati dormiveglia, fino alle luci del mattino. Non sono certo state le rinunce ad aver pesato, neppure le paure di addormentarmi in sala operatoria, non sapendo se al risveglio avrei ancora visto la luce. A mettere pericolosamente in discussione la mia libertà… e soprattutto la mia libertà intellettuale era ben altro: – sei un somaro se non sai scrivere – diceva qualcuno… oppure: – quante sono queste? – mostrando le dita della mano… e ancora, senza conoscermi: – ci dispiace Montecchiani, l’azienda ha superato le quote previste dalla ’68. Non siamo interessati alla sua candidatura. – E infine (questa è la più bella di tutte): – Ti licenzi da un posto pubblico? e dopo che ti metti a fare?
Che bravo! – Qualcuno pensarà: – ha avuto la forsa di affrontare le difficoltà e di riscattarsi!
Sbagliato. Ho solo avuto la fortuna di incontrare, sul mio cammino, le persone giuste. Almeno tre di loro sono state determinanti. Quando ancora ero bambino, mi è stato fatto comprendere che se volevo diventare un bravo programmatore, dovevo “andare bene in Italiano” e non necessariamente in matematica. Vi sembra una cosa da niente? Quasi adulto, mi è stato insegnato – con l’esempio – che infondo c’è sempre una soluzione, anche quando tutto sembra perduto, ma a volte, per trovarla bisogna lottare da protagonisti. Il periodo più difficile, tuttavia, come si può ben immaginare, fu l’adolescenza: sentirsi sempre ascoltato, profondamente compreso, mai giudicato mi ha aiutato a vedere il mondo nella giusta prospettiva; ha guidato la mia sensibilità e mi ha trasformato in una persona forte.
Capirete perché non ho potuto fare a meno di craare uno spazio nella mia esistenza, da dedicare a LALIZABLU, dove trovo finalmente l’ambiente ideale per costruire e mettere in atto percorsi di formazione e supporto individuale, dedicati a ragazzi ciechi e ipovedenti, necessario risultato di un connubio inscindibile tra le mie competenze in materia di Braille, tecnologia assistiva e progettazione educativa… e la mia esperienza umana di bambino, adolescente e adulto con handicap visivo.
Dunque, per condurre i ragazzi lungo questo cammino, non bastano Braille, informatica e pedagogia (in grado comunque di fornire loro strumenti indispensabili per l’accesso alla cultura). Serve di più, molto di più. Serve Amore prima di tutto… un amore che permetta al ragazzo di sentirsi ascoltato e profondamente compreso, ma soprattutto che gli permetta di percepire, in modo inequivocabile, che qualcuno – che “ci capisce” – sta avendo cura del suo futuro. Questo amore, per quanto mi riguarda, pone le sue radici nella consapevolezza sul rapporto tra status di persona con handicap visivo e status di persona con disabilità; perché se è vero che l’handicap c’è (nella sua accezione di oggettivo svantaggio) è altrettanto corretto affermare che lo status di disabilità può e deve a tutti i costi essere evitato.
Ebbene, ho un sogno: nei documenti de LALIZABLU sarò pure l’informatico o come vi pare… per i miei allievi, tuttavia, vorrei essere molto di più: vorrei essere Mirko, una di quelle “persone giuste” che io, tempo fa, incontrai nel mio cammino…