Il dibattito
Nel dibattito sulla terminologia che descrive la condizione delle persone con deficit cognitivi, fisici o sensoriali, emergono spesso punti di vista orientati al concetto di abilità, quindi, anche al suo opposto disabilità. Di frequente ascoltiamo o leggiamo definizioni e neologismi quali: persone con disabilità, disabili, diversamente abili, diversabili ecc. Non mi dilungo su quale di queste generi piú orrore.
Per contro, il termine handicap sembra da anni aver assunto un’accezione quasi offensiva nei confronti di coloro che possiedono un deficit oggettivo: é davvero cosí?
Un po’ di storia
La parola handicap ha una storia interessante che illustra come i termini possono evolvere significativamente nel corso del tempo.
Originariamente, nell’Inghilterra del XVI secolo, il termine era legato ad un gioco d’azzardo noto come hand in cap nel quale due giocatori ponevano degli oggetti di valore in gioco e un terzo partecipante, il mediatore, decideva se gli oggetti avevano un valore equivalente. Se c’era una discrepanza, il mediatore stabiliva quanto denaro avrebbe dovuto essere aggiunto da uno dei giocatori per rendere la posta equa. Per accettare la decisione, i giocatori mettevano le mani in un cappello per ritirare o lasciare una moneta.
Da qui, il termine ha iniziato ad essere utilizzato in contesti più ampi per indicare una sorta di equilibrio o compensazione. Nel mondo delle corse a cavallo, ad esempio, handicap veniva usato per riferirsi al peso aggiuntivo che i cavalli migliori dovevano portare per livellare il campo di gara rispetto ai cavalli meno performanti. Questo uso ha generalizzato l’idea di handicap inteso come fattore che serviva a bilanciare le differenze di abilità o di opportunità.
Un altro esempio riguarda il golf in cui il termine assume un significato specifico e molto pratico: viene utilizzato per rappresentare il livello di abilità di un giocatore, consentendo a golfisti di diversi livelli di competere equamente. Il sistema di handicap nel golf assegna un numero che indica il punteggio medio che un giocatore può aspettarsi di ottenere sopra il par. Un giocatore con un handicap più basso è considerato più abile di uno con un handicap più alto. Questo metodo di calcolo permette di compensare le differenze di abilità, rendendo la competizione più equilibrata e giusta. Questo utilizzo del termine sottolinea ancora una volta come handicap descriva uno svantaggio oggettivo che può essere misurato e compensato, riflettendo fedelmente il concetto di equilibrio delle probabilità.
Col passare del tempo, il termine è stato adottato anche nei contesti medici e sociali. Oggi, handicap si riferisce principalmente a una condizione mentale, motoria o sensoriale che limita le capacità di un individuo.
Questo spostamento semantico riflette un’evoluzione nella percezione delle minorazioni, passando da un concetto di mero svantaggio o penalità a una più profonda comprensione delle sfide individuali e della necessità di supporto ed inclusione.
Handicap VS Disabilità
Contrariamente, il termine disabilità si focalizza sulle interazioni tra i deficit individuali e le caratteristiche del contesto. Questa definizione, promossa a livello normativo ed ampiamente adottata in seguito alla Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità, sottolinea come le restrizioni principali per le persone con handicap emergano non tanto dalle loro condizioni personali, quanto da mancanze sociali, architettoniche e tecnologiche.
La distinzione tra handicap e disabilità è fondamentale per comprendere le dinamiche legate all’inclusione e all’accessibilità.
Un handicap rappresenta uno svantaggio oggettivo derivante da una condizione fisica, sensoriale o cognitiva che rende più difficile svolgere certe attività. Ad esempio, una persona che ha perso l’uso delle gambe ha un handicap.
La disabilità, invece, riguarda l’incapacità di una persona di svolgere determinate attività non solo a causa della condizione fisica, ma principalmente a causa di barriere esterne. Queste barriere possono essere di tipo architettonico, sociale, tecnologico o legate alla mancanza di competenze personal. Per esempio, una persona in sedia a rotelle potrebbe essere disabile se deve affrontare edifici senza rampe o ascensori. Tuttavia, in un ambiente completamente accessibile, la stessa persona potrebbe non sentirsi disabile, potendo muoversi e partecipare alle attività quotidiane senza problemi.
Dunque, Mentre il concetto di handicap é oggettivo ed assoluto, la definizione di disabilità é totalmente relativa e specifica.
Immagina una persona sorda (handicap). Grazie all’uso della lingua dei segni, sottotitoli nei video, e altre tecnologie assistive, questa persona può comunicare efficacemente e partecipare a incontri, lezioni e attività sociali. In un contesto inclusivo che fornisce questi strumenti, la persona non si considera disabile, poiché le barriere alla comunicazione sono state superate.
Un altro esempio potrebbe riguardare una persona con difficoltà di apprendimento (handicap). Con il supporto di strumenti didattici specializzati e metodi di insegnamento adattati, può seguire il programma scolastico come i suoi compagni. In un contesto educativo inclusivo, non si sente disabile, poiché le sue esigenze particolari sono state considerate e soddisfatte.
Promuovere un linguaggio che rifletta questa realtà non è solo un esercizio di precisione semantica; è un passo verso un approccio più equilibrato e realistico che onora sia le differenze individuali, sia la responsabilità collettiva.