È una richiesta che sento formulare spesso.
Non che sia una novità: generazioni di studenti hanno sempre cercato piccoli trucchi o escamotage per aggirare la monotonia di alcune lezioni o semplicemente per trascorrere il tempo in modo più piacevole, ma questa specifica richiesta, legata al gioco-quiz digitale, porta con sé alcune questioni importanti che vale la pena analizzare.
Il trucco risulta evidente: proporre al docente di svolgere un quiz digitale per avere il permesso implicito di usare i cellulari in aula, dispositivo che normalmente sarebbe vietato (almeno nell’Istituto dove insegno). Ed è qui il primo punto critico: Kahoot diventa spesso un pretesto, non uno strumento reale di apprendimento.
Il secondo aspetto che vorrei evidenziare riguarda proprio la natura stessa di Kahoot. Questo programma è certamente accattivante, colorato e vivace. Non c’è dubbio che i ragazzi lo trovino divertente. Eppure, se guardiamo da vicino il tipo di apprendimento che propone, emergono evidenti limiti e criticità. Kahoot infatti spinge inevitabilmente verso un approccio nozionistico e superficiale. L’obiettivo principale è rispondere velocemente e correttamente, preferibilmente prima degli altri, in modo da guadagnare punti e scalare la classifica. Ma è davvero questo il tipo di competenza che vogliamo sviluppare negli studenti?
Questa modalità basata sulla velocità e sulla competizione penalizza fortemente la riflessione. Non lascia spazio al ragionamento critico, alla discussione, all’analisi approfondita degli argomenti trattati.
Ogni domanda si riduce a quattro risposte preconfezionate, una giusta e tre sbagliate, e la rapidità di risposta diventa il criterio principale di successo. In questo modo, lo studente che ha bisogno di un momento per pensare, per capire bene la domanda, o magari per ricordare un concetto più complesso, viene subito messo ai margini.
Dunque, sebbene Kahoot venga spesso presentato come uno strumento innovativo per fare didattica digitale, in realtà rischia di impoverire l’esperienza formativa degli studenti con evidenti e palesi riflessi sulla vita fuori dalla scuola.
Certo, una volta ogni tanto potrebbe anche essere utilizzato, ma è importante che i ragazzi capiscano che si tratta solo di un gioco, come del resto dichiarano gli stessi autori del software nella schermata di accesso.
C’è un altro punto che mi preme sottolineare. Questa tipologia di attività digitale, per quanto accattivante, tende a favorire un tipo di attenzione superficiale, molto simile a quella che gli studenti sperimentano quotidianamente sui social media: rapida, intermittente e distratta. Così facendo, anziché aiutare i ragazzi a gestire e ad approfondire contenuti complessi, rischiamo di abituarli a modalità comunicative superficiali, rapide e poco articolate, abituandoli alla passività del clic veloce piuttosto che all’impegno della riflessione attenta.
La scuola dovrebbe essere il luogo in cui si educa alla complessità, dove si incoraggia il pensiero critico e si insegna a ragionare, a discutere e a dialogare. Non è una questione di rifiuto della tecnologia: al contrario, strumenti didattici digitali validi e realmente innovativi esistono e possono contribuire a migliorare il processo di apprendimento, a patto che vengano usati in modo consapevole, mirato e critico.
In conclusione, quando gli studenti propongono Prof, facciamo un Kahoot? non stanno chiedendo di ripassare, né di approfondire un argomento, né di giocare… Stanno cercando una via di fuga da un tipo di didattica che spesso percepiscono come noiosa o impegnativa… o – peggio ancora – chiedono semplicemente l’autorizzazione ad usare lo smartphone per fare tutt’altro.