L’handicap vissuto nella scuola

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Introduzione al testo

Sono stato più volte invitato presso scuole od associazioni private a portare testimonianza della mia esperienza scolastica come alunno con disabilità visiva; il seguente testo – revisione ed ampliamento di un articolo che ho scritto nel 1999 – ha lo scopo di rendere tale testimonianza permanentemente disponibili a chiunque voglia servirsene.

Con il seguente testo tenterò dunque di illustrare in generale come il mio handicap visivo abbia influito nel rapporto con lo studio e come abbia modificato quello che potrebbe essere definito un corretto e normale inserimento nell’ambiente scolastico, nonché come opportuni e adeguati provvedimenti, attuati da personale specializzato e sensibile ai problemi dell’alunno con disabilità, possano porre lo studente in condizioni di affrontare lo studio il più normalmente possibile.

È ovvio che nel passato di alunno abbia dovuto affrontare notevoli difficoltà, a causa del mio handicap, anche perché, sino a circa dieci anni fa, non esistevano precisi provvedimenti che dovevano essere attuati dal personale docente in caso avessero avuto un loro alunno portatore di handicap; oggi invece esistono leggi ben precise e mirate al sostegno di tutte le persone con disabilità che mettono a disposizione validi ausili, maggiori diritti e personale specializzato, consentono a questi alunni di condurre uno studio più regolare, sereno e soddisfacente.

La scuola dell’infanzia

Sin dalla scuola materna ho sempre vissuto un rapporto piuttosto distaccato e schivo nei confronti dei miei coetanei: mi limitavo ad osservare gli altri, spesso senza prendere parte ai giochi o restavo con i compagni meno vivaci perché, non riuscendo bene a vedere, avevo spesso il timore di entrare in mezzo ad una confusione incomprensibile. Sempre per la mia incapacità di vedere, riuscivo raramente anche a prendere parte ai piccoli lavori che venivano svolti in classe. Per ovvie ragioni di carattere pratico, sono stato abbandonato al mio comportamento.

La scuola primaria

Nel corso della scuola elementare, né i maestri, né il personale di sostegno ha saputo comprendere adeguatamente le mie reali necessità, per trovare di conseguenza una soluzione rapida e definitiva al mio problema. Si puntava, infatti, soprattutto al miglioramento delle mie capacità di lettura e della mia calligrafia, ignorando totalmente due questioni fondamentali: la prima riguarda il fatto che un bambino di sei/sette anni e con un visus pari ad un decimo in entrambi gli occhi, non possiede la capacità visiva per potere scrivere in bella calligrafia e leggere con la vista in modo scorrevole; la seconda che esistono altre soluzioni, altri mezzi in sostituzione alla scrittura come il computer o il codice Braille. Io però non beneficiavo di alcun mezzo, di alcun ausilio che potesse sostituire i miei occhi per leggere, scrivere e quindi prepararmi – per il futuro – a svolgere autonomamente ogni normale attività scolastica. Tale status, naturalmente, mi ha indotto a credere che, non riuscendo a scrivere con la penna sul quaderno allo stesso modo degli altri, non avrei nemmeno avuto le capacità di riflettere e ragionare come il resto della classe; d’altronde un bambino può facilmente pensarlo.

La maestra di sostegno che avevo in prima elementare insisteva sul fatto che dovevo migliorare la mia calligrafia e spesso mi portava fuori dalla classe, aumentando ogni volta in me il pensiero sulla mia diversità. Per fare un esempio, ricordo che mi chiedeva di frequente come potevo confondere la lettera enne con la emme ed io ogni volta provavo un senso di angoscia e rabbia non perché lei non comprendeva le mie reali esigenze, ma perché mi credevo semplicemente più stupido degli altri che le lettere non le confondevano; infatti si sa che chi non legge la sua scrittura è un somaro addirittura. A casa avevo spesso da svolgere il doppio del normale lavoro: oltre a ciò che assegnavano i maestri, dovevo riempire pagine di quadernoni con quadretti enormi delle lettere che non sapevo ancora scrivere discretamente.

Per i due anni successivi ebbi la fortuna di avere in classe una maestra di sostegno che propose per la prima volta alla mia famiglia di mettermi a disposizione un personal computer. Con esso sarei riuscito sia a leggere che a scrivere. Anche se questa macchina non poteva ancora sostituire i miei occhi per leggere, in quanto le sintesi vocali ancora non esistevano, era comunque un grande ausilio per il mio studio. I miei genitori mi comperarono un vero PC e fui seguito da due persone speciali, nel vero senso della parola (Moreno Marchegiani e Arnaldo Morchio), per apprenderne anche le caratteristiche tecniche, in quanto, all’epoca, questo strumento era molto poco conosciuto e spesso discriminato. Credo infatti che i miei maestri di scuola lo vedessero come un mezzo superfluo che non avrebbe mai potuto sostituire la scrittura vera e propria, che non poteva essere alternativo, anzi, migliorativo rispetto alle lenti di ingrandimento, ai video ingranditori, alla penna e a tutti i quaderni con quadretti enormi sui quali scrivevo molto lentamente e con difficoltà. Al terzo anno mi venne installato in classe un video ingranditore che mi facilitò la lettura: mi consentiva di vedere molto meglio i caratteri per la luminosità dello schermo, anche se spesso quando tornavo a capo perdevo di vista la riga successiva; questo strumento però potevo adoperarlo esclusivamente per leggere, per scrivere il mio problema ancora restava.

In questi cinque anni di scuola elementare mi sono spesso reputato diverso dagli altri, anche se ho sempre cercato di mostrare un atteggiamento aperto, socievole e disponibile nei confronti del resto della classe.

La scuola media

Durante le scuole medie, il mio rapporto con la classe e con lo studio mutò radicalmente: avevo ormai l’idea consolidata di essere differente dagli altri per il mio handicap e mi ero convinto che, per farmi accettare dai miei nuovi compagni, dovevo in qualche modo dimostrare che sarei riuscito a studiare come loro, cioè senza alcun ausilio, perché in classe non ero ancora conosciuto. Rifiutavo molte forme di aiuto, specialmente l’insegnante di sostegno che vedevo come una figura negativa e fastidiosa che oltre a farmi apparire diverso, non serviva molto al miglioramento della mia qualità di studio. All’inizio la socializzazione fu molto difficile, anzi, credo che durante i tre anni di scuole medie non mi sia mai integrato del tutto al resto della classe, ma solo parzialmente.

Sin dai primi mesi di scuola media, disponevo di una persona, retribuita dala Provincia di Macerata, che mi supportava nello studio domestico: non si trattava di un’insegnante, bensì di un ausilio nella lettura del materiale che avevo da studiare o, per esempio, delle consegne per le esercitazioni. All’inizio non mi fu difficile accettare questa figura, visto che non poteva influire negativamente nel mio rapporto con i compagni di scuola e oltretutto era l’unica figura che risolveva veramente i miei problemi di lettura. In seguito però mi accorsi che ciò mi costringeva molto ad un orario costante per fare i compiti; mi sentivo inferiore perché non possedevo una certa autonomia nello studio; mi reputavo sfortunato e condannato dal mio handicap a non essere un ragazzo normale. Così mi convinsi che sarei riuscito a studiare autonomamente anche a casa e allora il mio problema fisico alla vista influì notevolmente anche nell’aspetto psicologico. Questi sono stati gli anni peggiori che ho vissuto nella scuola: mi rendevo conto della gravità della situazione e nello stesso tempo che pur lottando non sarei mai riuscito a snobbare il mio problema; ciò mi causava forte nervosismo e stizza nei confronti di chi mi stava intorno.

Tengo a precisare che non ho mai partecipato alle attività manuali integrative, né durante la scuola primaria, né durante la scuola media: in questi casi venivo visto dagli insegnanti come un individuo incapace, fastidioso e di intralcio per la buona riuscita dei lavori manuali svolti in classe. Anche se può sembrare strano, ciò mi è rimasto impresso nella mente e ancora oggi ricordo benissimo le emozioni di paura e di vergogna che provavo quando venivo escluso e lasciato in disparte durante queste attività, ma speravo sempre che nell’avvenire la mia situazione venisse risolta per poter così avere le stesse capacità e considerazione degli altri.

La scuola superiore

Mi iscrissi così al settore Segretario d’Azienda dell’Istituto Professionale di Stato Ivo Pannaggi di Macerata poiché ospitava la sede del Centro Documentazione Handicap di Macerata e quindi disponeva di personale specializzato in materia.

Per i primi tre anni fui accompagnato, dalla fermata dell’autobus all’entrata della scuola, da un obiettore di coscienza che mi fu messo a disposizione dall’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti. Ciò mi impediva di iniziare a conquistare la praticità e l’orientamento che tutte le persone con handicap visivo dovrebbero possedere e in più questa situazione continuava ad alimentare il mio senso di inferiorità rispetto agli altri studenti.

Anche in questa nuova realtà scolastica non sono mancati i disagi, infatti nei primi due anni non riuscivo bene ad aggregarmi al resto della classe perché alcuni compagni mi prendevano in giro per il comportamento derivante dal mio handicap visivo. Dopo il biennio comune che prevedeva il nostro corso di studi, si doveva scegliere tra due indirizzi: turistico o commerciale; scelsi turistico e nella nuova classe mi aggregai molto bene perché tutti i miei compagni si mostrarono sensibili verso il mio problema. Inoltre, mi preme precisare che quasi la totalità delle persone che nei primi due anni mi prendeva in giro, non sono riusciti a conseguire il diploma di maturità. Per quanto riguarda il mio handicap rapportato allo studio, in tutti i cinque anni ho trovato, in questa scuola, una buona organizzazione del personale per il sostegno: anche se ogni alunno con disabilità aveva differenti esigenze, a seconda del problema, io sono stato messo quasi sùbito in condizioni di affrontare lo studio serenamente, cioè senza la preoccupazione di dover lavorare ogni volta il doppio per raggiungere uno scopo. In breve, disponevo di ausili e di persone specializzate, consentendomi di raggiungere ottimi risultati che fino a quel momento venivano gravemente compromessi. Per la prima volta ho avuto il computer in classe con il quale svolgevo i compiti scritti di varie discipline, senza avvertire la solita stanchezza che, per dover rileggere la mia calligrafia, influiva molto sulla concentrazione che dovevo impiegare per svolgere al meglio il compito. Alcuni docenti concepivano il personale di sostegno come una figura di intralcio e di rallentamento del loro lavoro, anziché una presenza in grado di portare beneficio a tutta la classe e alle attività svolte; ma questa concezione negativa è oggi quasi scomparsa, o almeno lo spero. Per la prima volta ho avuto in classe con me altre persone con disabilità e questo ha contribuito a non farmi sentire isolato e a rendermi utile mostrando il mio aiuto a chi aveva problemi differenti dai miei.

Giunto il momento di affrontare l’Esame di Stato finale, i professori di sostegno mostrarono, nei miei confronti, la loro migliore disponibilità, ai fini di pormi al pari degli altri studenti, senza che l’handicap visivo potesse in qualche modo influire negativamente sulla valutazione finale. Per prima cosa si è sùbito cercato di verificare i diritti di cui legalmente disponevo; appreso ciò, il personale di sostegno presentò alla commissione d’esame una relazione in cui vennero specificati gli ausili e i diritti di cui dovevo disporre per affrontare le tre prove scritte. La commissione accettò tutte le proposte e nei giorni dell’esame mi fu messo a disposizione un PC e una stampante per svolgere le prove; in più mi fu messo a disposizione un tempo superiore a quello concesso dalla norma che mi sarebbe servito per rileggere attentamente le prove in modo da evitare che nulla mi sfuggisse. Il mio fu il migliore dei risultati, dopo aver svolto le tre prove scritte. Successivamente, nella prova orale, presentai una tesina multimediale incentrata su Giovanni Pascoli che mi fu possibile realizzare autonomamente grazie alle mie buone conoscenze informatiche e ciò contribuì all’ottimo risultato finale che raggiunsi (100/100).

Università

Quanto detto testimonia che spesso una persona portatrice di handicap sensoriale non rende meno nello studio per un suo scarso impegno, ma molte volte non viene messa in condizioni di affrontarlo in serenità. Attualmente sono studente di Lettere Moderne presso l’Università degli studi di Macerata e sono a soli due esami dalla laurea. Oramai posso ben dire di essermi costruito un metodo di studio che mi consente una grande autonomia e grazie al computer ed altri ausili elettronici, riesco a raggiungere quasi tutti gli obiettivi di studio che di volta in volta mi prefiggo.

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