Nel pomeriggio di sabato 17 giugno 2006 si è svolto a Macerata il primo incontro di alunni non vedenti ed ipovedenti di tutta la Provincia, nel corso del quale bambini e ragazzi si sono relazionati giocando e divertendosi insieme. Questo momento ha rappresentato il primo passo verso quella che molto probabilmente diverrà la loro collaborazione nel futuro: crescendo, infatti, rafforzeranno la loro conoscenza reciproca, confronteranno le loro esperienze e si aiuteranno a vicenda nell’affrontare i problemi relativi alla disabilità visiva. All’incontro hanno partecipato anche genitori, insegnanti di sostegno ed assistenti domiciliari; insomma, una buona occasione anche per confrontarsi ed affrontare in maniera diretta i problemi incontrati da questi alunni, dalle loro famiglie e dai docenti in ambito scolastico.
Personalmente sono stato chiamato dalla Sezione Provinciale di Macerata dell’Unione Italiana Ciechi che ha avuto il merito di organizzare l’incontro, per raccontare la mia esperienza personale come alunno ipovedente all’interno della scuola pubblica. Sinceramente aspettavo questa occasione da molto tempo: era importante per me avere di fronte sia le famiglie che gli insegnanti per invitare tutti ad evitare gli errori che sono stati commessi dai miei educatori (non per loro colpa, ma per mancanza di strumenti teorici e tecnici). Non vorrei soffermarmi troppo nel raccontare il mio passato: per sintetizzare dirò soltanto che la mia poca vista ha sempre ingannato i miei insegnanti che credevano al miglioramento della mia calligrafia ed della mia capacità di lettura, attraverso l’esercizio continuo e l’utilizzo di videoingranditori ed altri ausili analoghi. È stato facile cadere in questo inganno poiché in realtà il mio poco visus – anche se con notevoli difficoltà – mi permetteva di utilizzare la penna per scrivere e di riuscire a leggere caratteri ingranditi; per tale ragione i miei docenti della Scuola Elementare (1986-1989) aspiravano a migliorare velocità e qualità della mia lettura, nonché il rendimento della mia calligrafia, ovviamente con scarsi risultati, ma più si notava che tali risultati non venivano ottenuti, più si insisteva in tal senso, compromettendo il mio rendimento scolastico, senza parlare dell’intuibile effetto psicologico che ciò ha comportato in me. Lo studio alle Scuole Medie (1990-1993) era però caratterizzato da una più ampia quantità di materiale da dover leggere ed io non vi riuscivo più, in quanto la lettura prolungata mi causava stress e stanchezza, proprio per il grande sforzo che compivo nell’utilizzare i miei occhi. Così, fu fatto un altro errore, cioè quello di mettermi a disposizione delle persone che leggessero e scrivessero al mio posto. Infine, solo durante l’Università (1999-2005) ho imparato ad utilizzare il computer come strumento di lettura, scrittura ed accesso all’informazione che mi ha reso completamente indipendente, in tali settori. Di fatto, però, avevo capito molto prima che il computer sarebbe stato, sia per me che per altri alunni e studenti con disabilità visiva, l’unico strumento in grado oggi di garantire la totale indipendenza nel settore dello studio e dell’accesso all’informazione, ma purtroppo la scuola, parlo soprattutto di Elementari e Medie, non ha mai accettato che io utilizzassi questo strumento ai fini di studio.
Nonostante questi incontri siano molto piacevoli ed abbiano un grande potenziale di arricchimento reciproco, rischiano di trasformarsi in pura retorica se insegnanti e genitori non si pongono in un atteggiamento di ascolto costruttivo nei confronti delle esperienze e dei suggerimenti con i quali, giovani che hanno vissuto la mia stessa esperienza, possono contribuire in modo determinante. Mi spiego meglio: io sono sicuro che i nostri suggerimenti, durante questo incontro, siano un po’ caduti nel vuoto. Capisco bene che si trattava di un pomeriggio rilassante per stare insieme, ma sono rimasto molto colpito – e non certo in modo positivo – quando, suggerendo di evitare la scrittura a caratteri enormi ai bambini ipovedenti, come metodo di studio, mi è stato detto da professionisti del settore che oggidì questi metodi non si utilizzano più, mentre, parlando con alcuni genitori fuori, ho scoperto l’esatto contrario; d’altronde è un grave errore anche quello di non insegnare il brail ai bambini ipovedenti e soprattutto ancora più grave è non fargli avere un approccio con il computer nel momento in cui nel loro cervello si passa dall’epoca del sincretismo, (visione generale della realtà) all’epoca della razionalizzazione dei concetti, vale a dire all’età della Prima/Seconda Elementare. Oggi ci sono ancora bambini ipovedenti che all’età di dieci anni non conoscono ancora il brail e che non hanno ancora avuto un approccio con il computer, ma che leggono e scrivono attraverso ausili visivi. Come possiamo, in tal modo, garantire a questi bambini la totale indipendenza nello studio per il loro futuro? Molti sarebbero i temi da affrontare e probabilmente avremo altre occasioni per farlo, ma questo breve articolo vuole soltanto invitare a tenere in considerazione l’utilizzo del computer, combinato all’alfabeto brail, sin dai primi anni di scuola. Naturalmente l’alunno ipovedente ha anche il diritto di imparare a leggere e scrivere come tutti gli altri, ma questo non significa affatto che la sua lettura e la sua calligrafia devono raggiungere lo stesso livello di quella dei suoi coetanei senza disabilità visiva e tanto meno che tali strumenti saranno il suo futuro metodo di studio, illudendosi che siccome il bambino ipovedente riesce a leggere qualche riga, potrà farlo anche quando dovrà studiare libri interi.
Quanto appena detto resta un mio pensiero che sicuramente incontrerà critiche ed obiezioni da chi ha studiato il problema più di me. Io ho imparato l’uso del computer a 8 anni e queste idee appena espresse si basano soltanto sulla mia esperienza di alunno ipovedente nella scuola pubblica e su quel poco di pedagogìa che ho studiato all’università. Personalmente ho vissuto un inspiegabile e continuo rifiuto del computer da parte di insegnanti ed istituzioni pubbliche. Sogno una scuola pubblica dove gli alunni con disabilità visiva siano completamente indipendenti nello studio e nell’accesso all’informazione, senza bisogno di assistenti domiciliari e sicuramente in futuro sarà così: abbiamo a disposizione tutta la tecnologia necessaria per farlo, ma adesso il mondo dell’educazione scolastica non è ancora pronto per una cosa simile: occorre un cambiamento graduale e spetterà proprio a noi giovani, costruire questo futuro di pari opportunità veramente concrete.