Sono consapevole che per dare un titolo del genere ad un articolo occorre un certo coraggio, indipendentemente dalle circostanze e dalle ragioni che lo hanno fatto maturare; ma tanto è il coraggio che ho messo quanta la delusione e l’amarezza che ho provato costatando che questo progetto europeo, mirato a favorire l’integrazione dei disabili visivi nella società e nella nascente cultura comunitaria, si sia rivelato una sorta di ambiente ostile e presa in giro, proprio nei loro confronti. Questo progetto, al quale ho personalmente partecipato, si intitola Climbing Blind, Shared Learning Experience of Trust and Tolerance – Wall-climbing and Contact Dance experiences for the blind, the sighted and the visually impaired (14-27 October 2006, Debrecen, Hungary) ed è stato organizzato e messo in pratica dall’associazione Tatum grazie a finanziamenti del Fondo Sociale Europeo. Oltre alla nazione ospitante, hanno preso parte l’Italia, la Bulgaria e la Romania per un totale di circa 25 giovani di età compresa tra 21 e 28 anni, di cui però solo 7 con disabilità visiva parziale ed una persona con disabilità visiva totale, tutti facenti parte del gruppo Bulgaro e di quello Italiano. Al progetto avrebbero dovuto prendere parte anche la Germania e la Repubblica Cieca, ma queste due nazioni non erano presenti. Come si evince dal titolo del progetto, esso si è svolto in Ungheria, nelle vicinanze della città di Debrecen (250km circa dalla capitale Budapest e 45km circa dal confine con la Romania) e consisteva in 13 giorni di convivenza e scambi culturali tra giovani con e senza disabilità visiva, provenienti dai suddetti paesi, allo scopo di favorire l’arricchimento culturale reciproco e la tolleranza tra persone con handicap visivo e differenti abitudini di vita. Questi 13 giorni di convivenza avrebbero dovuto – secondo il programma iniziale – essere costituiti da quattro differenti sfere di attività: giochi di socializzazione per conoscersi e stabilire complicità tra i singoli individui, serate interculturali nelle quali ogni gruppo preparava una cena tipica della propria cultura gastronomica e presentava il proprio paese attraverso diapositive, canti, giochi ecc., attività di wall-climbingn e contact dance.
Preso visione del programma ho voluto partire con un certo entusiasmo poiché l’idea iniziale del progetto mi sembrava molto buona ed originale; inoltre volevo partecipare anche per conoscere le differenti situazioni dei disabili visivi in altri paesi europei, visto che lo sono in prima persona e che da tempo mi interesso a queste problematiche. Arrivati nel campus che ospitava il progetto, la prima riunione con i responsabili mi ha dato subito un’ottima impressione: ci avevano persino garantito una copia del programma in braille.
Purtroppo però, già dalle prime ore di soggiorno abbiamo avuto problemi con il cibo: niente a che vedere con Italiani in vacanza che non apprezzano altro che pasta e pizza; i problemi erano molto seri e non c’entravano nulla con la cultura gastronomica ungherese che personalmente apprezzo molto: non sono state rispettate le norme igieniche (peli di cane nei piatti, cibo ripassato, anche per tre giorni ecc.). Successivamente, quando io ed il mio assistente abbiamo utilizzato la cucina del ristorante del campus per la serata interculturale italiana ci siamo accorti che i cani del proprietario del campus entravano liberamente nei locali della cucina. Il programma iniziale non è stato rispettato e continuamente ci venivano fornite nuove versioni, eliminando ogni volta delle attività: ad esempio la contact dance non è stata affatto praticata.
Solo il wall-climbing è stata invece un’esperienza veramente riuscita: vedenti e non vedenti si sono allenati scalando muri di varie difficoltà per poi partecipare ad una competizione che ha avuto luogo a Budapest il 21 ottobre scorso, presso l’Everest Gym. I partecipanti alla competizione sono stati suddivisi in categorie a seconda dell’età, del sesso e della condizione visiva. I vedenti si sono arrampicati con una benda, in modo da rendere la competizione più attrattiva ed interessante: lo scopo infatti, in questo caso, era quello di far entrare temporaneamente i non vedenti nel cosiddetto mondo dei disabili visivi. Durante la competizione, ciascun partecipante doveva sostenere 5 prove (un muro differente per ogni prova) e a seconda dell’altezza raggiunta per ogni muro totalizzava un punteggio che poi veniva sommato a quello ottenuto negli altri muri.
Ciò che ha deluso di più le mie aspettative sono stati i momenti di socializzazione, vale a dire tutta quella serie di attività e giochi che hanno come finalità la creazione del gruppo e l’instaurazione di rapporti interpersonali tra tutti i partecipanti e che in questo progetto assumevano particolare importanza, considerato l’obiettivo iniziale. I trainer e gli organizzatori erano soltanto alla loro seconda esperienza con persone non vedenti ed ipovedenti e per giunta non avevano alcuna formazione alle spalle per quanto riguarda l’organizzazione di attività che coinvolgessero l’attenzione e lo spirito dei disabili visivi, ma il peggio è che soltanto uno di loro ha deciso di raccogliere il frutto della nostra esperienza in merito: gli altri hanno tirato dritto secondo le loro convinzioni. Il risultato – in breve – è stato una serie di attività completamente impraticabili per persone con problemi di vista, anche parziali. Cito solo come esempio i giochi di mimica, nei quali una persona mimava generalmente un partecipante al progetto o uno degli organizzatori e gli altri dovevano indovinare di quale personaggio si trattasse… o ancora peggio, quando un partecipante faceva dei movimenti che il resto del gruppo doveva imitare immediatamente ed un altro doveva indovinare chi fosse il leader del gruppo. Proprio in quest’ultimo caso è successo che si trovasse ad indovinare una persona ipovedente con grande imbarazzo suo, del gruppo e degli organizzatori stessi. L’incompetenza e la superficialità degli organizzatori, non riguardava solamente le attività di socializzazione: purtroppo non tutti i partecipanti erano coinvolti nelle discussioni di gruppo e nelle attività di formazione in quanto il trainer in quei momenti disegnava schemi e scriveva informazioni alla lavagna impossibili da decifrare per noi disabili visivi ed il programma in braille non è stato mai stampato.
Certo è che personalmente, come disabile visivo, mi sono sentito preso in giro da questa organizzazione perché un progetto che ha come obiettivo quello di far vivere la tolleranza verso persone con problemi di vista, di fatto mi ha parzialmente escluso dalle attività, ma fortunatamente questa rimane in Europa una situazione isolata: le cose peggiori che sono successe in questo progetto non sono certo il riflesso dell’attuale società europea. Sono convinto inoltre che l’Ungheria non è il paese che abbiamo conosciuto: è un vero peccato che gli organizzatori di questo progetto abbiano perso una importante occasione per farci apprezzare un paese che ha alle spalle un importante patrimonio culturale e che attualmente sta muovendo i suoi primi passi nell’Unione Europea.