Impressioni dal mio viaggio in Etiopia sulla condizione socio-culturale dei non vedenti
Ai nostri giorni, si è preso ormai coscienza che nella realtà italiana, così come in quella di altri paesi allo stesso livello di sviluppo, grazie alle attuali condizioni socio-economiche ed al progresso tecnologico, tutte le persone con disabilità, tra cui i non vedenti, possono contare su una serie di strumenti legali e tecnici, per usufruire dei loro diritti e soprattutto per realizzare gli scopi della loro vita, per quanto ovviamente la condizione fisica conceda. Certo, bisogna lavorare molto per mantenere ciò che si è raggiunto; e se ancora oggi sorgono nel nostro paese discussioni intorno a carenze di diritti per i non vedenti, esse sono marginali o riguardano singoli casi, fisiologicamente possibili in una struttura di diritti molto avanzata. Solo per fare un esempio, gli studenti, ma anche tutti gli altri non vedenti che volessero accedere al mondo della cultura, hanno a disposizione tutta una serie di strumenti a loro adatti: se in passato, infatti, esistevano biblioteche braille o centri di registrazione di testi, dove ovviamente si poteva reperire soltanto la letteratura più comune, oggi queste persone possono tranquillamente leggere i normali libri cosiddetti in nero, cioè stampati con inchiostro. La procedura è molto semplice: il non vedente entra tranquillamente in libreria, compera il suo libro (ammettiamo un libro formato 13×15 di 300 pagine), torna a casa, accende il computer e tramite un sistema software di riconoscimento chiamato sistema OCR riesce, con l’ausilio di un normale scanner, a digitalizzare il testo in un paio d’ore, cosìcché può iniziare la lettura per mezzo di un altro software di screen reader (lettore di schermo). Addirittura oggi esistono dei programmi che convertono direttamente il testo in file MP3, grazie ai quali i non vedenti (o, bene inteso, anche i vedenti che hanno difficoltà di lettura) possono ascoltare il proprio libro anche fuori da casa, utilizzando un normalissimo lettore MP3. Roba assurda, direi quasi fantascientifica sino a venti anni fa.
Eppure in certi paesi i ciechi, non soltanto non hanno la possibilità di accedere alla cultura, ma addirittura vivono senza dignità, condizione di vita tra l’altro comune a milioni di persone che pure non hanno alcuna disabilità. Non è certo una novità: nei paesi meno sviluppati mancano strutture adeguate che permettano alle persone con disabilità di raggiungere le pari opportunità, ma addirittura nei paesi sottosviluppati, chiamati – a mio giudizio senza alcun criterio linguistico – paesi del terzo mondo la stragrande maggioranza di ciechi vive come animali, poiché le strutture scolastiche, educative e lavorative create da progetti stranieri di solidarietà raccolgono solo una piccolissima parte della popolazione con disabilità. La scuola che ho visitato ad Othona, nel sud dell’Etiopia fa parte appunto di uno di questi progetti, più esattamente di un progetto tedesco che ha creato una struttura dove i non vedenti possono studiare sin dalla prima infanzia e lavorare una volta terminati gli studi.
Era un bel pomeriggio pieno di luce, anche se nel cielo c’era qualche nuvola qua e là dove il sole ogni tanto si nascondeva. Siamo usciti dalle mura del nostro alloggio e con la gip, insieme ad autista, traduttrice ed un mio amico che faceva per me le riprese ci siamo diretti verso la destinazione stabilita. Appena un quarto di strada sterrata ed eccoci d’avanti il portaglio della scuola. È stata la traduttrice per prima a scendere dalla gip e bussare. Due ciechi per mano sono corsi ad aprirci. La scuola si presentava come un campus con vari edifici ciascuno adibito ad attività precise in ciascuno dei quali il direttore ci ha guidati. Per primo abbiamo visitato la scuola materna dove i non vedenti imparano ad avere i primi contatti con il mondo e le prime nozioni di cultura attraverso oggetti in plastica e legno inviati dalla Germania, come planisferi in rilievo, forme geometriche di vario genere ed attrezzatura specifica per compiere i primi calcoli matematici; vi erano anche delle formine che rappresentavano i caratteri braille ingigantiti per far acquisire ai bambini le prime conoscenze di quello che sarà il loro metodo di scrittura futuro. Poi siamo passati alla scuola vera e propria, suddivise in vari gradi dove i bambini ciechi apprendono il metodo di scrittura braille, acquisiscono nozioni di cultura generale e al tempo stesso imparano a svolgere alcune attività lavorative come la filatura o la preparazione di mattoni. Infine ci è stato mostrato il settore dove i ciechi lavoravano: mi sono trovato di fronte ad una vera e propria catena di montaggio umana dove i ciechi conoscevano meccanicamente ogni minimo atto, ogni minimo movimento da compiere per realizzare un mattone dall’impasto alla cottura. Durante la visita mi è stato consentito di interloquire, per mezzo della traduttrice, con i piccoli studenti e con gli insegnanti e addirittura i bambini della scuola materna hanno cantato una canzone in mio onore. Ma il vero stupore è stato quando il direttore ci ha guidati nella sala informatica dove c’erano sei computer attrezzati di sintesi vocale che servivano per addestrare ragazzi ciechi a divenire futuri insegnanti per non vedenti… dove non si sa, come pure non si sa bene quali potranno essere le prospettive future per questa gente…
Cose comunque molto belle, considerata la vita là fuori. Nel cuore ho sùbito provato un’emozione di rassicurazione, dicendomi appunto che infondo i ciechi non stavano poi così male in questa scuola, anzi, per certi versi potevano addirittura – lo dico senza esagerare – ritenersi fortunati, visto che almeno loro un pasto al giorno ce l’hanno assicurato. Tutta questa euforia mi è passata quando siamo entrati nell’ufficio del direttore a parlare di statistiche e cercare di fare i conti della situazione generale dei non vedenti in Etiopia. L’Etiopia è composta da circa sessanta milioni di persone (ovviamente quelle registrate), di cui circa l’1,5% (900.000 circa) hanno un handicap visivo grave, a causa della mancanza di strutture sanitarie, e circa la metà di queste persone ha meno di 18 anni di età. La scuola che ho visitato accoglie circa 400 persone in totale e ci sono in tutta la nazione soltanto quattro scuole come questa. In più c’è da considerare il fatto che l’Etiopia è solo uno dei circa 28 paesi dell’Africa che vivono nel sottosviluppo Credo non ci sia più molto da dire: le conclusioni sono presto fatte. Dopo la chiacchierata sui numeri nell’ufficio del direttore, anche la catena di montaggio che aveva un sapore di disumano, mi è sembrata una delle attività più dignitose per queste persone. Ma gli altri ciechi come vivono? Tristemente ho avuto la risposta pochi giorni dopo, ma non ve ne parlerò: vi lascerò soltanto immaginare come può vivere una persona nel buio totale, in un paese dilaniato dalla miseria, dove l’acqua potabile è un miraggio ed il cibo una lotta quotidiana…